Quella canzone mi ha sempre rapito per la sua sottile ironia e passionale necessità di evasione.
Dalla città al mare, dal traffico e facce conosciute alla spiaggia insieme a sconosciuti
Ci ho pensato perché ho la stessa necessità, di quel tipo di viaggio che ti disorienta, che ti toglie i punti di riferimento, che ti obbliga ad essere spugna per attingere e riempirsi di ogni novità.
Adesso, nella mia situazione di bisogno di scoprire il mondo nuovo, dovrei cantare, VOGLIO ANDARE A TEHERAN in compagnia di chi mi ama.
E viaggiare davvero. Cambiare il denaro, avere difficoltà iniziale a capire, immergersi per confondersi nella diversità.
Teheran perché voglio sconfiggere la paura del caos, della propaganda giornalistica di massa, che mi intima di non uscire al di fuori dell’Occidente, che mi chiede di essere felice con la mia moneta unica nella mia piccola Europa e di sopportare la finta indipendenza nel mio spostarmi da un aeroporto ad un altro senza mostrare il passaporto.
Voglio arrivare a Teheran e aspettare ore in fila per il mio visto, voglio che la mia ragazza si prepari e si dimentichi al di fuori della camera dove dormiremo, di aver messo uno scialle nei capelli per rispetto di chi sa poi cosa.
Voglio sentire gli occhi addosso delle persone che scrutano i tuoi passi non per paura, ma perché hanno voglia di attirare la tua attenzione e conoscerti.
Sta di fatto che ci voglio andare, che ho questa voglia che mi brucia dentro e sinceramente non ne conosco il motivo.
Nella valigia invece di mettere, ho deciso che toglierò; lascerò a casa il peso superfluo dell’insofferenza verso altri odori, di ascoltare un’altra lingua che non conosco e non posso condividere, delle raccomandazioni dei benpensanti insomma dei muri che ci opprimono e non ci permettono di guardare l’orizzonte con serenità.
Spero di andarci presto perché voglio mantenere questo fuoco che arde vivo che mi permetterà di assaporare con più gusto le dolcezze di questo Paese.
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